Il tema della fine dell'umanità non può essere ignorato in questo passaggio storico cruciale, perché parte integrante dello Zeitgeist i cui siamo immersi.
Il cambiamento climatico e la conseguente crisi ambientale rendono evidente e trasportano sul piano tecnico quanto a livello culturale era già stato reso noto a partire dagli anni ‘90, con l’idea della “risk society” del sociologo tedesco Ulrich Beck (Risk Society: Towards a New Modernity, Sage 1992). La pandemia di Coronavirus, inoltre, catapulta l’intero Occidente in un tunnel temporale, lo proietta negli immaginari medioevali della peste bubbonica, tanto quanto in quelli distopici di un futuro senza prospettive. Nella pratica clinica, ma anche nell’analisi della contemporaneità, le professioni psichiatrica e psicologica sono chiamate a stare dentro i fenomeni, con una lettura teorica, ma anche fuori, comprendendoli epistemiologicamente.
Navigare nel sito web TEDxTorino del meteorologo Luca Mercalli aiuta ad avvicinarsi a un tema di cui si parla moltissimo ultimamente e di cui è bene possedere le coordinate principali. Sarà necessario sentirsi padroni almeno delle definizioni fondamentali, per poter costruire un discorso e uno sguardo consapevoli. Nella clip Crisi climatica e antropocene Mercalli schematizza la dinamica del cambiamento climatico, ne identifica le principali cause scatenanti, definisce i limiti alla crescita e gli accordi internazionali.
A supporto di un rafforzamento della competenza sulle tematiche legate al rischio, il paper From risk calculation to narratives of danger del filosofo argentino Silvio Funtowicz fornisce alcune antinomie utili a comprendere nel dettaglio i processi macroscopici in atto. Rischio e pericolo, calcolo e narrazione, tecnica e politica, sono categorie che configurano il dibattito attuale non solo sui cambiamenti (climatici, sociali, antropologici), ma anche sul ruolo che il sapere scientifico debba avere nella gestione della complessità e su come il sapere tecnico possa sposarsi con l’apertura democratica.
The end of History?, la critica storica del politologo statunitense Francis Fukuyama, costituisce un architrave del discorso sulla fine. L’idea che la Storia stessa possa essere giunta a una conclusione ha rappresentato una suggestione forte nelle Scienze Sociali, che devono riscoprire la propria funzione di interpreti ma anche di promotori del cambiamento. In particolare Fukuyama sottolinea l’impatto che la caduta del muro di Berlino ha avuto non solo sul piano politico, ma anche culturale. Se prima il dibattito tra liberismo e comunismo era globale e acceso, diffuso e animato, dopo il 1989 ogni posizione rischia di diventare complanare, interna allo stesso paradigma, e si ravvisa la tristezza dell’impossibilità di ricostruire e coagulare una critica esterna.
Il testo centrale, fulcro e collante agli argomenti-satellite suggeriti dai contributi di questo percorso, è un classico di Sigmund Freud: Il disagio della civiltà. Scritta nel 1929, l’anno della grande crisi che mise in luce la parziale inconsistenza del progetto razionalista borghese, è un’opera anomala nella sua proposta. Per la prima volta affronta il conflitto in una dimensione quasi cosmica, identificando il ruolo delle spinte contrapposte della pulsione sessuale e della pulsione distruttiva nella Storia e nell’evoluzione. La civiltà, sostiene Freud, controlla la pulsione distruttiva, la domina, «[…] coltiva le più alte attività psichiche, siano queste intellettuali, scientifiche o artistiche, e attribuisce alle idee una funzione di guida nella vita umana». L’interrogativo conclusivo dell’opera, tuttavia, lascia una sospensione potente: sarà in grado la civiltà di trattenere la pulsione distruttiva umana ancora a lungo?